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lunedì 14 novembre 2011

Documento sulla Scuola

    Le scelte scellerate compiute dai lacchè, Tremonti e Gelmini, sono finalmente giunte al termine quando le auto blu, emblema della “casta”, hanno accompagnato, fra due ali di popolo inferocito, il cadavere del fu Governo Berlusconi, nel percorso funebre fra Palazzo Chigi e il Quirinale.
    Non prima, però, che lasciassero una eredità di danni incalcolabili a tutti gli ordini e gradi della Scuola italiana. Il taglio dei docenti, il dramma della precarietà, lo smantellamento del principio di uguaglianza nel diritto allo studio, sancito dalla nostra Costituzione, la violenza sociale nei confronti delle famiglie degli studenti che hanno bambini “certificati”, talvolta anche gravi.
    Sono solamente alcune delle azioni di vera e propria destrutturazione del mondo scolastico, compiute scientemente, seguendo un percorso politico preordinato, che doveva portare alla distruzione di una delle colonne portanti della nostra società da loro considerata, come se fossimo ancora nei primi del Novecento, comunista.
    Basti pensare alla barbarie medievale di una frase detta dall’ex ministro Tremonti: “La cultura non si mangia”. Sulla linea ideologica, rappresentata da questa retriva dichiarazione, è stata prodotta una ulteriore lacerazione alla nostra Costituzione, quando sancisce autorevolmente il Diritto allo Studio e la natura Pubblica della Scuola.
    Con i tagli ai finanziamenti pubblici, anche nel Comune di Pontassieve si sono verificati questi effetti devastanti. Carenza di Docenti, il taglio alle ore di insegnamento, la quasi impossibilità di reperire e finanziare le spese per le supplenze, la mancanza di insegnanti di appoggio, che, come prevede il percorso educativo individuale, devono essere uno per ogni allievo “certificato”. Inoltre, i tagli agli Enti Locali, hanno prodotto seri disagi nei trasporti e nella refezione scolastica.
    In questo contesto, i nostri amministratori, politici e tecnici, non fanno altro che ricordare, legittimati dalla realtà dei fatti, questa situazione, soffermandosi forse un po’ troppo sulla ricerca delle colpe e nel cercare di convincere genitori e docenti sull’ineluttabilità di una situazione del genere.
    Quando le critiche diventano più stringenti, allora rispunta il solito ritornello di scambiare il ruolo e le responsabilità dell’Amministrazione comunale con quello dell’Istituzione scolastica, eludendo così qual è il compito principale di chi è stato eletto per governare un territorio e i bisogni dei suoi abitanti. Un disabile che non ha l’assistenza necessaria, che non può godere, come qualsiasi altro, del diritto allo studio. Una famiglia che è costretta a pagare qualsiasi tipo di attività che si svolga al di fuori dell’ormai ridottissimo Piano di Offerta Formativa e, in alcuni casi, sopperire finanziariamente alla diminuzione forzosa delle ore scolastiche. Un aumento del decadimento della cultura e della formazione con il conseguente disagio sociale dei nostri figli, non sono problemi questi che possono essere risolti con lo scarica barile fra Istituzione locale e Scuola.
    I nostri ragazzi, come rammenta la Costituzione e la Carta dei Diritti del Fanciullo, sono cittadini a tutti gli effetti, dagli zero anni fino al termine della loro esistenza, e come tali devono essere tutelati.
    Questa aria di rinnovamento che si è creata dal 12 Novembre dovrebbe essere respirata anche dai nostri amministratori, quantomeno gli permetterebbe di lavorare in sinergia con i colleghi dei vari settori di governo.
Rinunciando a qualche opera, in questo momento, di natura irrilevante, a qualche distruzione di aiuole in meno oppure a qualche parcheggio utile solo all'apparire, potrebbe far reperire quei pochi fondi per interventi sulla scuola, magari di poco rilievo, ma essenziali per attutire i disagi delle famiglie e degli studenti.
    Forse potremmo sperare in scelte di interventi sulla scuola non gravati solo sui fondi della Pubblica istruzione coinvolgendo anche quelli della cultura, del sociale, della sanità e dei servizi pubblici, e che insieme cerchino di contenere le problematiche più critiche creando delle barriere di protezione al fenomeno di degrado e contrastino il possibile fenomeno di perdita motivazionale degli operatori e degli studenti.

Paolo Rosini

giovedì 29 settembre 2011

Una giornata particolare

Il rombo del motore del Minibus, che suo padre aveva messo in moto in garage, interruppe il silenzioso mattino e, subito dopo, una cinica strombazzata di clacson che preannunciava la partenza di quell'importante automezzo, da lui così tanto amato. Tutti i giorni, alla solita ora, la storia si ripeteva.


Quel catorcio che, in una mezzora di viaggio, portava un gruppo di operai dalla piazza del quartiere alla Cartiera, rappresentava per il suo “vecchio” un sorta di effige di potere che lo rendeva fiero del suo lavoro.

Anche i vicini di casa, dopo anni di lamentele, avevano abdicato a questa sua stranezza e adesso quel suono rappresentava, per me e per loro, l'inizio della giornata.

Erano appena le otto di mattina e Rino faceva fatica ad alzarsi , quel suono acuto ed improvviso però, aveva un potere che nessuna sveglia, seppur elaborata con i sistemi più fastidiosi, poteva sostituire.

Si mise a fatica seduto sul bordo del letto mentre il ciabattare della madre all'interno della casa, gli confermava che quella sarebbe stata una solita giornata, uguale alle altre.

Fuori il sole cominciava a farsi strada fra gli alti palazzi del quartiere e una lama di luce si era infilata dalla finestra, quasi completamente chiusa, disegnando una striscia luminosa nel pavimento. I segnali di vita quotidiana che accompagnavano il suo risveglio, generalmente lo rendevano tranquillo, ma nonostante tutto fosse come sempre, quella mattina non riusciva a liberarsi da un sottile senso di inquietudine.

La sera prima, aveva faticato per addormentarsi e, per riuscire a rilassarsi, la sua mente aveva spaziato in mille idee. Aveva provato a pensare al giorno dopo, ma cosciente del fatto che non riusciva a dare un senso alle radici quadrate, ai seni, ai coseni, lo assalì il timore di essere interrogato e invece di prendere sonno, diventò ancora più agitato.

Allora aveva cercato di visualizzare il classico gregge di pecore, per poterle contare, ma immagini più allettanti come le labbra e i fianchi stretti di Roberta, sua compagna di classe, che da qualche giorno aveva accettato di flirtare con lui, finalmente gli dettero la tranquillità necessaria affinchè il sonno trionfasse.
Fu così che, dalle dolci aspettative evocate dall'immaginare quella splendida ragazza di Roberta, si ritrovò davanti alla sua finestra intento ad osservare al di là dei vetri.

Nonostante fosse a casa sua, l'ambiente era diverso: La solita sequenza geometrica dei palazzi, con le centinaia di finestre che generalmente gli apparivano quando cercava di guardare il cielo, era scomparsa. Una intensa luce rossa illuminava tutto l'esterno colpendo i vetri, senza filtrare nella stanza che era anzi illuminata da un soffuso bianco artificiale.

Egli guardava fuori, stupito dallo spazio immenso, uniforme che appariva ai suoi occhi. In basso, sagome umane che provenivano da tutte le direzioni, si muovevano lentamente.

Indossavano una specie di saio scuro e non riusciva a distinguere se fossero uomini o donne. Sentiva però che ognuno di loro era un contenitore di conoscenza, di segreti nascosti e portatore di una propria storia

Quella luce rossa sembrava scaturire da vari punti dell'orizzonte e illuminandoli, proiettava strisce nere multiple lunghissime, che si sovrapponevano una sull'altra, intersecandosi e creando così l'impressione che tutti fossero legati uno all'altro. Facevano pensare che un rapporto di condivisione , quel senso di solidarietà innata, biologica, fosse presente. Ma quel legame che distingueva l'essere umano, non era altro che un ombra.

Ognuno di loro, giunto al limitare di questa elisse si chinava e raccoglieva una delle pesanti pietre, a forma di parallelepipedo oppure cilindriche, che delimitavano l’area.

Poi, lentamente, entrava in questo grande spazio dove, al centro, si ergeva una piccola ma ripida collina, che terminava in un arido pianoro.

Come intenti in uno strano rituale, piegati dalla fatica, affrontavano il sentiero, ma appena giungevano al culmine della salita, il masso sfuggiva loro di mano e sollevando nugoli di polvere, rotolava di lato fino alla base della collina. Mentre il primo, con stoica pazienza, scendeva per riprendere il proprio masso, il secondo affrontava il sentiero e subiva la stessa sorte.

All’inizio pensò che il tutto avesse un che di comicità, ma dopo l’incessante ripetersi della scena, quasi che anche lui facesse parte di quella anomala processione, fu colto da un pesante senso di frustrazione. Probabilmente questa massa di sagome nere, aveva il compito di depositare le pietre nel pianoro, forse per costruire qualcosa, magari una casa o un monumento, ma una sorte avversa e misteriosa glielo impediva.

Era come se fossero condannati da un ineluttabile destino che li costringeva a spendere tutte le loro energie, per realizzare un’opera, che non riusciva mai a giungere al termine.

Mentre osservava questa scena, era stranamente cosciente che si trattava di un sogno, da cui però non riusciva a svegliarsi.

Quella mattina le stranezze del padre, con il fatidico colpo di clacson, furono provvidenziali.
Camminava svelto, zigzagando fra le auto ferme, nelle code ai semafori e cercando di non urtare qualcuno nella marea di persone che a quell’ora invadevano, come formiche, il centro della città. Era il percorso quotidiano che lo portava a scuola, l’unico Istituto Tecnico della sua città. Nonostante avesse ben poche motivazioni per quel tipo di indirizzo scolastico, aveva dovuto accettare per le continue insistenze dei genitori che decantavano la qualità dei professori, l’importanza delle materie trattate, bla, bla, bla,…..

D’altronde per lui, una scelta valeva l’altra, visto che non aveva la benché minima idea di ciò che avrebbe intrapreso nel futuro.

I suoi interessi erano, in quel periodo, di altro tipo.

Gli piaceva la musica e qualche volta si arrangiava suonando una vecchia batteria che aveva in cantina, contribuendo così, insieme alle stranezze del padre, ad alimentare le nevrosi dei vicini. Inoltre la sua mente era impegnata nell’individuare rappresentanti del gentil sesso, che volessero scambiare non troppo dotti discorsi, o effusioni anche approfondite, con lui.

Quella mattina però, le fantasie di sempre non lo accompagnavano nella camminata. Si sentiva diverso, più attento. Notava, nelle cose che lo circondavano, dettagli su cui non si era mai soffermato: I giochi di luce nelle vetrine dei negozi, arredate nei più svariati modi per attirare l’interesse di possibili clienti, le cartacce accumulate agli angoli dei marciapiedi, gli intonaci screpolati nei palazzi del centro.

Il passo svelto della gente era ormai guidato dall’automatismo dell’abitudine e andare a scuola, al lavoro, o semplicemente recarsi da un luogo ad un altro, era diventata solo una gimkana giornaliera al fine di non sfiorarsi.

Sembrava che tutti avessero una gran fretta, i loro volti non esprimevano nessuna emozione o espressione particolare, i loro occhi erano fissi altrove. La consapevolezza di ciò che osservava lo aveva turbato. Si rese conto che non c’era empatia, nessun sentimento traspariva, si percepiva solamente un aura di nervosismo diffuso.

Ognuno camminava come se fosse rinchiuso dentro un bozzolo trasparente e, quando la distanza fra i corpi diminuiva, sembrava che questo guscio si restringesse nel tentativo di aumentare il livello di protezione dall’altro.
Raggiunse finalmente la Scuola e bastò la prima delle tante cazzate che Bernardo, suo compagno di banco, gli avrebbe propinato per tutta la giornata, a far scomparire il suo turbamento:

-Sai Rino? Sono convinto che nel 2012 ci sarà la fine del mondo!. Devo fare presto a trovarmi una donna, se no dovrò scomparire da vergine.-
Rino frenò a stento una risata, correndo il rischio di incorrere nelle ire dell'insegnante di matematica e fisica.

Era una stangona bionda, dalle forme così ben proporzionate che sembrava la statua vivente di una antica dea.

Certe volte se la immaginava in pose accattivanti, stampata sulla copertina di una rivista di top model e poi, magicamente, come nella favola della lampada di Aladino, dalla fotografia usciva un filo di fumo che si trasformava in quella bellezza. Purtroppo sapeva che erano soltanto illusioni dettate da desideri che non si sarebbero mai realizzati.

La dura realtà lo riportò sulla terra quando la Dea, invece di suonare un arpa in mezzo a fiori e fontane, cominciò, con la sua voce incolore a parlare di fissione nucleare.

Spiegò che la prima fissione nucleare fu realizzata da un gruppo di fisici italiani, chiamati “ I ragazzi di Via Palisperna”. Essi facevano esperimenti bombardando un materiale chiamato Uranio con dei neutroni. Si accorsero così che l'uranio si divideva, producendo un numero variabile di nuclei di atomi che emettevano una grande quantità di energia e di radioattività.

Ricordò anche che tutta la materia è composta da atomi, particelle infinitesimamente piccole che possedevano una potenzialità di energia mostruosamente grande.

Atomi, protoni, neutroni, nuclei, la cosa lo affascinava ma contemporaneamente gli provocava inquietudine.

Non riusciva a capire come una sostanza, anche consistente come il metallo o la pietra, potesse essere invece un insieme di particelle che roteavano fra loro, apparentemente in modo caotico, ma in realtà seguendo una logica così complessa e razionale che nessun cervello di grande scienziato era ancora riuscito a scoprirne il segreto.

Pensare che il banco, dove poggiava i gomiti, ricoperto da parolacce, cuori infranti, imprecazioni contro i professori incise e stratificate nel tempo fino a diventare quasi degli incomprensibili geroglifici, avesse una vita propria animata da miliardi di queste particelle, lo sconcertava.

In quel momento lui, il banco, il pavimento erano diventati un mirabolante turbinio di atomi. Niente aveva più forma, pensava quando i suoi occhi cominciarono a chiudersi da soli.

- Ei amico, ti senti bene?-

Era la voce di Bernardo, mentre lo stava scuotendo.

- Se ti becca la Divina a dormire sul banco sei fregato!-

- No, no…grazie, va tutto bene-

Rispose Rino, mentre rialzava la testa appoggiata sul braccio.

Era stato colto da una specie di torpore che non sapeva se imputare alla voce monotona della professoressa, oppure a qualche altra strana ragione.

Cercò di scuotersi, di prestare più attenzione a ciò che l’insegnante spiegava, ma dopo qualche minuto gli tornò in mente il sogno, o meglio i colori del sogno.

Aveva letto, tempo prima il significato di colori, e ricordò che la cosa lo aveva affascinato.

In quello spazio immenso, desertico, c’era il rosso come colore dominante e il rosso secondo la spiegazione, rappresenta il sole e tutti i Dei della guerra.

Quelle figure dall’aspetto umano, condannate a ripetere i soliti gesti, erano nere e ben si addicevano alla rappresentazione di questo colore, che evoca qualcosa di misterioso, associato alla paura ed a ciò che non si conosce, il non manifesto, il vuoto, le tenebre, la vergogna e la disperazione, la distruzione.

L’unica cosa che lo tranquillizzava, in questa oscura spiegazione era il colore della sua stanza, il bianco.

Riconobbe che il suo inconscio, con molta premura, aveva fatto in modo di rappresentarlo dentro la sua stanza, dove la colorazione esterna non riusciva a filtrare e l’interno era di colore bianco.

Il bianco è il colore adatto per un nuovo inizio, una soglia di passaggio verso qualcosa di nuovo.

In realtà qualcosa di nuovo stava accadendo, la sua capacità percettiva gli sembrava aumentata. Riusciva a dare un senso a tutti i segnali di quella strana giornata: il caos delle persone della mattina, la lezione sugli atomi ed in prima linea quelle figure che continuavano a portare con fatica un peso che poi avrebbero perso. Incuranti del fallimento di un obiettivo che si erano preposti e per questo si spendevano. Ma quale poteva essere questo obiettivo? Provò, dentro di se, a riformulare il quesito. Quale obiettivo potevano avere gli esseri umani, cos’è che li spinge a stare in gruppo? E la risposta arrivò automaticamente. Il bisogno di amare e di essere amati, la necessità di unirsi per procreare, per costruire insieme il futuro. Ma se la risposta gli apparve in tutta la sua semplicità non fu così semplice verificare se il significato del sogno rispettava questo bisogno innato degli esseri umani. Rino non ne era convinto, anzi il sogno andava in una direzione completamente opposta.

La gente nelle strade si scansava, rimaneva chiusa nel proprio individualismo, era sospettosa dell’altro e non amava condividere le proprie ansie, le proprie paure. I Ragazzi di Palisperna non avevano studiato l’atomo in maniera incruenta, rispettandone la sua natura e cercando di capire le meravigliose potenzialità della materia e della sua energia, lo avevano bombardato. Avevano rotto i suoi legami naturali nel nome di una scienza che si considerava onnipotente, priva di qualsiasi ordine morale. Erano riusciti a scatenare delle spaventose energie impossibili da controllare.
Una voce imperiosa lo scosse, provocandogli una scarica adrenalinica.

-Rino !- Forse hai scambiato la classe con un dormitorio, accomodati fuori e torna quando sei più sveglio !-

In quel momento avrebbe voluto essere un microbo, invisibile all'occhio umano.

La maggior parte dei suoi compagni rideva e, con una fugace occhiata vide che Roberta lo guardava preoccupato.

Uscì con la testa bassa e si mise a sedere in una panca sul corridoio cercando di capire cosa gli fosse successo, da dove poteva provenire quella sonnolenza. Non aveva bevuto e nemmeno accettato qualche tirata di canna, che qualche volta i ragazzi della scuola gli offrivano. Eppure era tutta la mattina che si sentiva in preda a questo intorpidimento, che faceva navigare il suo cervello in queste elucubrazioni.

La porta della classe si aprì, e Rino ebbe un sussulto pensando che la perfida Dea avesse da ridire qualche altra cosa. Era invece Roberta che si avvicinò e sedette sulla panca accanto a lui, prendendogli di nascosto la mano nella sua.

-Rino, che ti succede?- Posso aiutarti?-

Mentre parlava si era avvicinata e le gambe erano appiccicate alle sue.

In quel caos di ragazzi, professori impettiti che passavano, libri e registri in mano, con un'aria da alieni appartenenti a chissà quale pianeta, ella gli dette un fugace bacio sotto l'orecchio.

Come se avesse ricevuto un magico antidoto, una vampata di calore avvolse Rino che riacquistò velocemente la sua tranquillità.

- Sto bene fisicamente, ma è da questa notte che il mio stato d'animo, i miei ragionamenti sembra abbiano subito una modificazione. Non so come spiegarti, poiché nemmeno io ho capito bene cosa mi stia succedendo!-

Cominciò a raccontargli il sogno, ma già lo aveva elaborato, e venne fuori così una storia in cui Rino era dentro uno spazio protetto dal bianco della sua stanza. In attesa di qualche cambiamento, di qualcosa di nuovo che avrebbe dovuto succedere, mentre fuori c’era un ambiente ostile. Una guerra, oppure un evento catastrofico che aveva reso la terra un deserto polveroso. L’unica cosa a cui però non aveva dato una spiegazione era quel frustrante rituale che le figure oscure ripetevano. Proseguì nel racconto:
-Stamattina, mentre venivo a scuola, percorrendo la solita strada, tutto mi sembrava diverso. L’ambiente che mi circondava, le persone. Sembrava tutto privo di calore, di affettività. Come dentro un video game.-

Roberta lo ascoltava attenta e il suo volto, pareva esprimere una certa perplessità. La comprendeva, poiché sapeva di raccontare delle stranezze. Ma, Rino si stupì, quando ella gli rispose :

 Sai, non penso che tu sia andato un po’ fuori di testa, anzi! Credo proprio che dentro di te uno spazio nuovo si è presentato. Questa condizione in cui ti senti e che cerchi di spiegarmi, l’ho provata anche io. C’è stato un momento in cui ero una ragazzina che non aveva problemi, che pensava solamente a cose belle, distanti dalla realtà, poi, senza alcun preavviso, ho avuto un cambiamento fisico, ed è stato come se qualcuno o qualcosa mi avesse inchiodato i piedi sulla terra.-

Il suo volto, che prima gli sembrava perplesso, aveva adesso una patina di tristezza.

 Sono stata costretta a guardare la realtà e a starci dentro. Ho dovuto misurarmi con quello che automaticamente rimuovevo. Sono stata immersa il quel rosso di guerra di cui tu mi parli. L'ho vissuto nella violenza delle parole e degli sguardi lussuriosi nei miei confronti senza che nessuna fantasticheria potesse salvarmi .Il sogno te l'ha rivelato, ti ha immerso nel bianco del cambiamento. Forse è arrivato anche per te, il momento di guardarti intorno, di sentirti a contatto con la terra.
Le sue parole avevano scatenato dentro di lui una serie di emozioni a cui non riusciva dare spiegazione.

D'istinto le posò le braccia intorno alle spalle e la strinse più forte a se.

Sentiva aprirsi delle barriere nel profondo, da cui fuoriuscivano cose che gli parevano scontate, ma su cui non aveva mai riflettuto, intento a vivere cercando di evitare ogni angoscia.

Sentiva il suo respiro affrettato e avevo un grande desiderio di essere lontano da tutto e da tutti. Solo con lei. Ma quasi a conferma dell'appello che ella gli aveva fatto di poggiare i piedi per terra, il suono della campanella, che in altri momenti era liberatorio, gli rimbombò nelle orecchie, interrompendo quel magico momento.

La città dove viveva era situata in riva al mare ma, salvo una passeggiata con filari di abeti lungo il confine con una spiaggia senza stabilimenti balneari- e una scogliera al delimitare delle case, non vi era nulla di particolarmente esotico. Era lo stesso affezionato al luogo dove era nato e spesso gli piaceva camminare sugli scogli, spingendosi fino alla punta di essi, rimanendo lungo tempo ad osservare l’animata vita marina fra l’acqua e le rocce.

Roberta lo aveva salutato frettolosamente ma si erano dati un appuntamento nel pomeriggio, nel molo principale di un piccolo Porto commerciale, a poca distanza dalle rispettive abitazioni.

Rino era tornato a casa ed era così impaziente che non aveva nemmeno mangiato, sollevando la cantilena della madre, in questi casi sempre preoccupata. Era più stressante il “terzo grado” a cui lo sottoponeva che sforzarsi di aprire lo stomaco, leggermente contratto dall’emozione, ad un improponibile sandwich. Così fece e, mentre masticava svogliatamente, pensò a Roberta.

Quella ragazza gli piaceva più di quanto avrebbe ammesso qualche giorno prima. Confidandogli la propria esperienza si era aperta con lui.

Associando poi il proprio mutamento, per una donna naturale e irrimandabile, ai contenuti del sogno, era entrata come una presenza attiva nello stesso processo di cambiamento che aveva coinvolto Rino.

Era arrivato prima dell’ora fissata, voleva guardare il mare, anche se la giornata appariva grigia e minacciava la pioggia.

Il mare era un pò mosso e il vento creava delle piccole onde, le cui creste spumeggianti, si avvicinavano velocemente agli scogli dove si era seduto, e si infrangevano con una sequenza regolare di tonfi e di sciaquii.

Il suono prodotto dalle onde, che si infilavano nel dedalo di insenature vicino ai suoi piedi e il fischio continuo del vento, producevano in Rino uno stato quasi ipnotico. Pensò a Roberta e a quella inspiegabile alchimia che si era prodotta in loro. Fino a quel momento, l’esperienza con altre ragazze non gli aveva prodotto la stessa emozione che provava con lei. Qualcosa li univa profondamente, come se dovessero percorrere un sentiero comune, ma di cui nessuno dei due sapeva dove portasse.

Guardava la distesa grigio scura del mare, che sembrava facesse tutt’uno con l’orizzonte nuvoloso, e ripensò a quella particolare giornata.

La schiera di persone, quella mattina, che riproduceva continuamente gli stessi gesti, gli stessi percorsi di sempre, le stesse parole ripetute migliaia di volte. La tristezza profonda nei loro volti di anziani, di impiegati, di casalinghe e la difficoltà nello stare insieme, la violenza generata dal sospetto. E poi la lezione sull’energia nucleare, evocò in lui la sensazione che l’intelligenza veniva usata per trovare mezzi sempre più micidiali, per autodistruggersi. Le frasi di uno speaker, ascoltato alla radio quel pomeriggio, gli risuonavano nelle orecchie:

“La catastrofe della Centrale nucleare di Fukushima, causata dal terremoto in Giappone e dallo tsunami, con onde alte 23 mt che hanno ucciso oltre 15 mila persone, potrebbe diventare un incubo atomico ben peggiore di Chernobyl. Forse, il peggior disastro nucleare di tutti i tempi, con effetti per migliaia di anni.”

Ma noi, pensava, noi che fino ad ora non abbiamo commesso nessun crimine, non abbiamo fatto nessuna guerra e non abbiamo condannato enormi superfici del nostro pianeta a migliaia di anni di morte per radioattività.

Non potete costringerci........Le nere figure, sempre con maggiore lentezza, continuavano a salire, con il busto piegato dal peso delle pietre, e poi scendevano, alcune rovinosamente dietro al proprio masso. Ai piedi della collina corpi sdraiati, in pose improbabili, stremati, o ,forse uccisi dalla fatica, coloravano di nero il grigio della polvere......
- Rino!-

La sua voce, come un magico lenimento.

L’aiutò a scendere in una piccola insenatura fra le rocce e si sdraiarono in un tappeto di sabbia e asciutte alghe.

Fu come un silenzioso boato, il sole squarciò deciso la coltre di nubi e tutto cambiò. Colori, profumo, sapori.

Era quello il loro, esclusivo mondo.

martedì 5 aprile 2011

BRUNELLESCHI : il nostro passato dal futuro incerto

SEGNALO UN EVENTO IMPORTANTE CHE SI TERRA' A SIECI SUL TEMA DELLA FABBRICA DI CERAMICHE BRUNELLESCHI E SULLE SORTI DEI 40 LAVORATORI IN CASSA INTEGRAZIONE (ANCORA PER POCO)
E SULLE SCELTE CHE SI VOGLIONO FARE SU QUELL'AREA:

GIOVEDI'  7  APRILE  2011  ALLE  ORE 21.15

presso Circolo 1° Maggio a Sieci, Pontassieve (FI)
ne parliamo con:
Umberto Saccone - Segretario FILCTEM CGIL
Luca Fantini - FILCTEM CGIL
Lavoratori della Brunelleschi
Lorenzo Falchi - Coordinatore Provinciale SEL
Maurizio De Santis - Coordinatore Regionale SEL

Coordina Giulio Gori del Corriere della Sera - Corriere Fiorentino


LA CITTADINANZA E' INVITATA A PARTECIPARE

lunedì 13 dicembre 2010

NIKI VENDOLA AL CIRCOLO ANDREONI

Siamo arrivati presto, io e mio figlio di diciannove anni, sotto questo enorme tendone che avrebbe ospitato la serata con Niki Vendola.
Faceva piuttosto freddo così ci siamo messi ad aiutare i compagni a predisporre lo spazio.
Piano piano sono incominciate ad arrivare persone di tutte le età..
Non appartenevano alla solita tipologia che in questi eventi politci uno si aspetta.
C’erano tantissimi giovani e giovanissimi, insieme ad anziani di tutte le categorie sociali.
Tipi che si riconoscono dal loro aspetto, come politicizzati e persone comuni insieme ad anziane signore “impegnate”.
Molti volti mi ricordavano qualcuno ma non sapevo collocarli nella mia memoria.
Mezz’ora prima che Niki parlasse eravamo circa 800 persone.
C'è stato un momento in cui, dopo aver rivisto compagni che militavano nel PCI e nel sindacato addirittura negli anni 60, ho avuto la sensazione di una perdita del tempo.
Cercando di razionalizzare ho capito, invece, che non erano tanto i compagni, ormai attempati, che mi avevano prodotto queste emozioni, ma ciò che diceva Niki. Cose che ormai credevo dimenticate nella notte dei tempi. Il suo richiamo a dei principi e a dei valori che sono stati collettivamente rimossi da decenni di persuasione occulta, di costruzioni mediatiche di falsi immaginari collettivi, di rinuncia al valore della vita e di fatalistica accettazione della violenza sui più deboli, sui bambini e donne come se tutto ciò appartenesse alla normalità degli eventi.
Forse mi ero dimenticato che esisteva una Italia migliore. Quella delle lotte dei compagni studenti e operai, dei loro sacrifici anche con il carcere e la vita per affermare quei diritti che la dittatura fascista e la guerra ci avevano tolto.
Per un momento, in questa perdita di dimensione del tempo in cui era complice la situazione delle tantissime persone di tutte le categorie sociali, di tutte le età e i contenuti del discorso di Niki, ho avuto la netta sensazione della condizione schizoide in cui questo sistema ci ha portato. La divisione fra quello che profondamente ci ha sempre contraddistinto nel professare umanità, rispetto degli esseri umani di qualsiasi razza, religione e condizione sociale e quello che siamo diventati.
Noi siamo i figli e i nostri giovani sono i nipoti della Costituzione, non bisogna assolutamente dimenticarlo.
Niki, durante il suo intervento, ad un certo punto ha detto che siamo in un momento in cui ci manca l'aria.
Piero Calamandrei, padre costituente, diceva ai giovani delle scuole:

"La LIBERTA' è come l'aria: ci si accorge di quanto vale  quando comincia a mancarti"!

Credo che sia venuto il momento in cui bisogna dare un contenuto a questi principi e tradurre in azioni ed organizzazione le istanze e le speranze che percepiamo in tanta gente che spera che ci sia veramente qualcosa di nuovo nel nostro partito.

paolo

GUARDA IL VIDEO DELLA SERATA AL LINK:  http://livestre.am/vNwB

lunedì 15 novembre 2010

IL MISTERO DELLE TAVOLE SUPERATE




    Il Piano Attuativo del Luglio 2005 presentato dalla proprietà per il recupero di una delle tre zone dell’Area ferroviaria: L’Area Centauro, è contenuto in un faldone di cartone rosso, consunto. Sul frontespizio, scritto frettolosamente a mano con un pennarello nero, si legge: “TAVOLE SUPERATE”.
    Potremmo immaginare di mettere questo ingombrante contenitore sbilenco in una antica cantina e gli ingredienti per un romanzo dallo stile molto in voga, sarebbero pronti. Il titolo potrebbe essere :
IL MISTERO DELLE TAVOLE SUPERATE”.

     Purtroppo non si tratta di un romanzo ma di una cruda realtà, poiché aprendo il contenitore, archiviato nell’Ufficio Tecnico e sfogliando le tavole di progetto allegato, notiamo il disegno di alcuni edifici che trasformeranno l’Area Centauro in 20.000 metri cubi di media distribuzione e gli altri 20.000 mc, dei quarantamila previsti saranno, crisi e successivi cambi di destinazione d’uso permettendo, assegnati per il manifatturiero.
    Ciò che all’ignaro osservatore però salta subito all’occhio e lo riporta in una atmosfera di grande mistero è la presenza, nei progetti proposti, della CIMINIERA.
    Come potrete notare dai profili delle "TAVOLE SUPERATE" (nella slideshow sopra), l’elemento storico, oggetto per tanti cittadini di profonda delusione per il suo abbattimento e per me di furibonde polemiche, esiste! E’ riportato!!!  
   Addirittura nel disegno risulterebbe una sua ristrutturazione.
   Questo patrimonio di identità e’ lì, con i suoi trentacinque metri di altezza, che si erge orgoglioso ed elegante, con la sua scalinata a chiocciola, sovrastando l’edificio a cui è accomunato armonicamente.
    Una riflessione immediata da gente non informata e poco pratica della prestidigitazione urbanistica: “Allora è tutto regolare! Anche chi doveva trasformare l’area aveva a cuore questo elemento importante per la storia del nostro comune…”.

    Purtroppo non è così.

        Evidentemente dal Piano Attuativo presentato inizialmente, sembra nel rispetto dei vincoli descritti nel Piano Guida per l’Area Centauro (nell' Accordo di Programma e di Pianificazione del 16 ottobre del 2003 e relativo DPGR n. 17 del 3 febbraio 2004), qualche nuovo elemento, qualche nuovo rapporto fra proprietà e Ufficio Tecnico deve essere avvenuto.
    Infatti la vecchia ciminiera, ultimo baluardo di difesa contro la trasformazione del nostro comune in una estrema periferia, in ossequio alla mai realizzata città metropolitana, è stata distrutta.
    L’impressione è quella che si voglia cancellare anche la parte fotografica della memoria di chi l’ha sempre guardata passando, perché ormai è più di un anno che non esiste più.
    La logica di questo cinismo politico impone che la pozione amara e non voluta dai cittadini deve essere somministrata a piccoli sorsi, questo potrebbe spiegare la tempestiva cancellazione dal territorio della ciminiera e la ragione per cui non sono ancora cominciati i lavori di costruzione dei nuovi edifici.
    Una cosa bella che esiste la guardi ogni volta che ci passi vicino, poi la cosa bella smette di esistere e tu la ricordi ogni volta che passi dove prima esisteva. Poi, inesorabilmente, con il tempo la nostra memoria abbandona il ricordo e i sentimenti che suscitava.

    Questo meccanismo è così caro ai politicanti!

    Il grigio armadio di ferro che contiene il faldone delle “tavole superate” non può certo rispondere alle tante domande che questo mistero suscita.
     Speriamo in qualcuno, magari un Organo di Garanzia e Controllo, che stabilisca se ci sono delle responsabilità e fughi tutti i nostri dubbi.

Paolo

giovedì 7 ottobre 2010

DOVE SIAMO? DOVE ANDIAMO?

    Nel 1955 Piero Calamandrei, parlando di Costituzione, diceva agli studenti:

 "La libertà è come l’aria, fino a quando respiri
non ti accorgi che manca."

    In quel periodo, quasi sessanta anni fa, il popolo italiano che aveva vissuto in apnea cominciava a prendere delle grandi boccate di aria pura, priva della retorica fascista, ripulita dalle false illusioni che stuzzicavano l’immaginario collettivo. L’ecatombe di morti prodotti dalla follia della dittatura era terminata.
    Respiravano l’ossigeno che produceva la voglia di cambiare, e trasformava l’eredità
di paura nell’aspirazione di fare, di costruire un futuro migliore.
    Adesso, dopo anni di grande sviluppo e di pace fermamente voluta, il senso di soffocamento è tornato.
    La società in questo lasso di tempo è profondamente cambiata, le condizioni di vita rispetto alle sofferenze di allora sono migliorate in senso esponenziale.
    Siamo diventati capaci di rimuovere le malattie e la morte ( degli altri!) e viviamo nell’ ebbrezza della violenza pubblicizzata, soggetto principale dei giochi dei nostri figli.
    Tutto è possibile in questo nuovo mondo: si va veloci come saette, la comunicazione con tutto il globo è in tempo reale. Mai si sarebbero immaginati i nostri nonni che dopo poco più di cinquanta anni la società si sarebbe evoluta così tanto. Se qualcuno gli avesse detto che nel futuro sarebbe esistita addirittura la vita artificiale, avrebbero pensato ad un’opera del diavolo.
    Come erano strani quegli uomini che sacrificavano anche la vita per un principio.
    Ma chi glie lo faceva fare!
    Non avrebbero faticato meno se si fossero comportati come l’”Homo berlusca”, dell’Italia del terzo millennio, che non si pone nemmeno il problema di che cosa è la libertà, la giustizia, la solidarietà umana?
    Non sarebbero stati meglio se avessero seguito l’attuale filosofia masso mafiosa, padrona assoluta dell’informazione, che raccomanda caldamente di pensare al proprio interesse personale?
    Intanto l’ aria che respiriamo è già confezionata in contenitori televisivi debitamente miscelata fra cosce, culi e grandi bugie, tra falsi bisogni e le profonde frustrazioni del chi siamo e di chi vorremmo essere.
    Ci accorgeremo in tempo quando la nostra natura umana, i nostri polmoni urleranno chiedendo aria pulita?
    Quando la nostra aspirazione biologica di comunicare reclamerà di dominare su quella informatica e il desiderio di stringere fisicamente una mano o condividere la realtà, non l’immagine, di un amore o di una sofferenza dell’altro diventerà ineluttabile?
    Chissà, forse continueremo respirare affannosamente l’aria di una falsa libertà oppure finalmente consapevoli del diritto alla dignità, alzando la testa, si aprirà uno squarcio nel grande reality a puntate di questo mondo virtuale e la consistenza di ciò che apparirà ci farà tornare liberi.
         -- paolo --

Filmato 1° Parte

Filmato 2° Parte

*Il filmato è stato realizzato grazie ai video pubblicati su youtube delle puntate della trasmissione "La Storia siamo noi" in onda su Rai 2.

[filmato integrale al link: http://www.youtube.com/view_play_list?feature=iv&annotation_id=annotation_774578&p=5AFBADFCB1C0FA6E]

venerdì 16 luglio 2010

L'inceneritore che "non esiste"!

     L'immagine della casa colonica con lo sfondo l'inceneritore che non esiste, (poiché è stata creata al computer) è visibile su internet ed è a disposizione di un numero enorme di utenti.  Con questo vergognoso cubo virtuale riempito di edera, che probabilmente si rifiuterà di crescere fra i miasmi, che vuole abituare l’occhio ad un prossimo futuro di paesaggio precostruito ed innaturale, quella bellissima casa torre diventa anacronistica e fa pensare ad una cosa che appartiene al passato.   
     Penso solidalmente all’Azienda proprietaria di quella casa che detiene il marchio del vino sulla dicitura e alla storia secolare di certosino lavoro agricolo per sviluppare il gusto, apprezzato in tutto il mondo, del frutto delle meravigliose vigne che, per fortuna ancora esistono.
     Senza quel mostro virtuale, il cartello del vino chianti Selvapiana, scritto sulla facciata di una casa colonica in mezzo alle vigne, ha un forte ascendente pubblicitario e rappresenta una preziosità paesaggistica che può attirare turismo.
     Per questo quell'immagine è una pura provocazione dettata dalla rabbia di chi da anni aveva già assaporato il ritorno politico di questa tragica scelta , degli interessi vari che sarebbero circolati insieme ai rifiuti e invece ha visto crollare i suoi progetti.
    Per la stessa collera sono diventati arroganti al punto di anticipare decisioni sulla fattibilità dell’inceneritore che dovevano essere ancora vagliate istituzionalmente e da organismi, come il TAR che puntualmente li ha smentiti.
     Sentirsi colpiti nel vivo della loro infallibilità di tecnici che scambiano il loro ruolo di servitori della politica, quella nobile, con una autonomia che è limitata dalla democrazia e dall’uso corretto delle istituzioni, li ha sbarellati a tal punto dal voler perseguire una battaglia contro quella stessa partecipazione che tanto viene decantata, anche nelle Leggi della Regione, dando per scontato che tutto sarebbe stato realizzato. Ad ogni osservazione dei cittadini, dubbio legittimo di fasce sociali e produttive, paure per la salute hanno voluto rispondere come si risponde ad un antagonista, in maniera opposta.
     L'arroganza , l'assoluta mancanza del senso del rispetto della collettività e del principio di massima precauzione per la salute pubblica, non solo li ha resi aggressivi nelle immagini ma così ciechi e presuntuosi da erigersi al di sopra di un tribunale amministrativo interpretando a proprio uso e consumo le sue sentenze.

Paolo



fonte rendering edera:
sito Aer Spa >> http://www.termovalorizzatore.it/thermo/prgt2/Elaborati%20Agosto%202007/Allegato%2015/img15.zip

venerdì 18 giugno 2010

Comunicato Sindacale dei lavoratori della Brunelleschi

Sieci, 11.06.2010


L’assemblea riunita dei lavoratori di Brunelleschi industrie srl, dopo un’attenta analisi della situazione aziendale e a seguito degli incontri informali avuti con i vari interlocutori, aziendali e istituzionali, si dichiara favorevole alla creazione di un percorso che porti i lavoratori a riunirsi in una cooperativa al fine di proseguire l’attività aziendale. A questo scopo sarà creato un comitato promotore che delinei la tempistica e la metodologia di quest’impegnativa operazione.
L’obiettivo di questo comunicato è quello di sottolineare, ad istituzioni e cittadini, la complessità del passo che intendono compiere i lavoratori, con la speranza di ricevere aiuto e collaborazione.
Chi ha seguito la storia degli ultimi anni di Brunelleschi, sa benissimo che il punto nodale sul quale
si è articolata la vicenda, è il recupero dell’area del vecchio stabilimento da parte del Gruppo Margheri, controllore quindi anche di Brunelleschi Industrie.
Al fine di continuare l’attività di produzione di piastrelle di pregio, e nello stesso momento di realizzare un business proprio grazie all’area in questione, è stato costruito un nuovo stabilimento in località Massolina, completato al 95%. L’investimento del Gruppo è stato oneroso e mirato a creare uno stabilimento versatile e funzionale, in grado di cambiare facilmente prodotti a secondo delle esigenze di mercato. Purtroppo la crisi globale ha investito anche il settore immobiliare, e il Gruppo Margheri si è trovato in una crisi economica fortissima. Tanto grave da farlo desistere da proseguire l’attività nel campo della ceramica.
L’amministrazione comunale di Pontassieve, da sempre vicina ai lavoratori, ha nel corso degli anni messo vincoli ben precisi sull’area, al fine di garantire un vero progetto di spostamento.
In caso di mancata messa in funzione del nuovo sito produttivo, il comune di Pontassieve, avrebbe in ogni caso messo il proprio veto sul piano di recupero del vecchio stabilimento.
Purtroppo questo non serve a salvare i 40 posti di lavoro, la storia e la professionalità di Brunelleschi.
Da qui la nostra decisione di assecondare i progetti di sviluppo dell’area, che consentirebbero al Gruppo di non prendere una china definitiva, rinunciando ad alzare “barricate”, ed avendo invece la ferma intenzione di discutere qualsiasi dettaglio che interessi il nostro futuro. Va ricordato che intorno al gruppo ruotano circa 500 posti di lavoro e, forse perchè da tanti anni in lotta, i lavoratori Brunelleschi, senza presunzione, non vogliono mettere in discussione il futuro di tante altre famiglie, ritrovandosi in una situazione di lotta estrema con il Gruppo. Speriamo solo che anche gli altri lavoratori, e i sindaci dei comuni dove lavorano, si accorgano di queste 40 persone che si avventurano in un percorso difficile e ancora incerto.
Ci apprestiamo quindi a trascorrere ancora altri mesi in cassa integrazione, nell’attesa del termine dei lavori e del collaudo dello stabilimento, da parte del Gruppo e di Brunelleschi Industrie.
Nel frattempo, c’impegneremo nell’approntare questo nuovo soggetto cooperativistico che subentrerà nell’attività già avviata. A tutti i vari soggetti che ci sono stati vicini negli ultimi dieci anni, la richiesta che continuino a sostenerci e a credere in noi.

Grazie

RSU Brunelleschi Industrie

La storia infinita........

Riceviamo un documento di un gruppo di operai della Fabbrica Brunelleschi, indirizzato ad alcuni “attori” della loro lunghissima vertenza.
Lo pubblichiamo volentieri sperando di portare un modesto contributo ad una soluzione che possa risolvere le incertezze dei lavoratori e la salvaguardia del loro sacrosanto diritto al lavoro che attualmente svolgono.
Contemporaneamente ci auguriamo che la loro fabbrica possa essere mantenuta come patrimonio nazionale di archeologia industriale e come tale non modificato per un uso completamente estraneo a ciò che essa rappresenta.
                       " C.A Commissario Filcem-CGIL

                          Sig.Umberto Sacconi

                          C.A Segretario Generale Camera 
                          Del Lavoro di Firenze
                          Sig.Mauro Fuso

                          RSU Brunelleschi Industrie Srl
                          Sieci, 16.06.2010


          Siamo un gruppo di lavoratori della Brunelleschi Industrie srl di Sieci, azienda da molti anni in crisi e facente parte, come è senz’altro noto, del Gruppo Margheri. Scriviamo queste poche righe per evidenziare il nostro disagio e la nostra preoccupazione per i connotati che sta assumendo la vertenza che ci riguarda. Siamo perfettamente a conoscenza del percorso che si sta creando per la nostra realtà lavorativa, cioè quello di una cooperativa che subentri nella gestione dell’attività produttiva e commerciale a fronte di un disimpegno del Gruppo, causato da un evidente dissesto economico. Siamo perfettamente a conoscenza dell’esistenza di un comitato promotore formato da nostri colleghi, organismo ritenuto fondamentale ed essenziale anche da parte nostra. Qui però termina la nostra conoscenza e i contorni della vicenda si fanno meno chiari. Il processo che ha portato alla sospensione dei funzionari Filcem è parte di dinamiche interne alla CGIL, che sicuramente ha regole, regolamenti e organismi ai quali tutti suoi componenti si devono attenere, ma che ha anche, come compito essenziale, assistere i propri iscritti con persone che conoscano la storia e le vicende delle aziende in difficoltà e i risvolti, per non dire dei personaggi, che le girano intorno. Questa non è sicuramente una critica nei confronti della Nostra RSU e dei funzionari che l’assistono: entrambi sono in difficoltà, sballottati in un mare di discorsi e di fronte ad una situazione che ha miriadi di aspetti pericolosi, per i lavoratori e anche per il sindacato. Essendo in buona parte noi responsabili dei vari reparti dell’azienda, siamo perfettamente a conoscenza dello stato del nuovo stabilimento, che non è vero che sia pronto; siamo a conoscenza delle complicazioni che esistono nel districarsi negli appalti e subappalti degli impiantisti che devono terminare i lavori; siamo consapevoli che i prodotti che devono essere la base del nostro futuro devono ancora essere testati e certificati per tutti gli usi; siamo certi che alcuni prodotti di alta gamma fanno gola ad aziende senza scrupoli che gioirebbero se noi smettessimo di farli; siamo certi che ci vogliono alcuni mesi prima che lo stabilimento possa rimettersi in moto; siamo certi che la rete commerciale non esiste e vada ricostruita; siamo certi che pensare a prodotti e a una commercializzazione finalizzata solamente a grandi commesse, ci uccide in partenza avendo un costo di produzione più alto della media e una tipologia che spesso mal si presta alla tipologia di edificazione di certa edilizia; siamo certi che una volta usciti dal vecchio stabilimento, le banche recupereranno le loro decine di milioni dal Gruppo, che continuerà ad esistere e a fare affari milionari, mentre un gruppo di lavoratori si ritroverà in uno stabilimento nuovo ma fuori da ogni comprensorio e alla mercé di scaltri imprenditori, nel momento in cui si presentasse la prima difficoltà.


Siamo anche certi degli impegni presi dal Comune di Pontassieve, che non riguardano solo il vincolo dell’area, punto importante che sembrerebbe apparire superato, ma anche la conservazione della tipicità e dell’unicità di certi prodotti, della professionalità e della storia di una realtà unica al mondo e ultimo baluardo d’industrializzazione in un territorio ormai spogliato.


         C’è la sensazione che il sindacato assecondi la guerra tra poveri e scelga il male minore. Vogliamo veramente credere che l’area non deve essere venduta subito per salvare il gruppo?Che il ricavato serva, oltre per i famelici appetiti delle banche, per salvare i 500 posti di lavoro che ruotano intorno al gruppo, o per garantire i cittadini che hanno comprato appartamenti mai finiti?Vogliamo far finta che le amministrazioni della provincia non sappiano questo?


         Dobbiamo farci carico noi, con i nostri soldi, dopo mesi di CIG, di questa situazione? E’ questo che ci chiede il sindacato?Dobbiamo noi sottostare a che ci dice”bere o affogare”? Noi non vogliamo dividere ne creare confusione: vogliamo solo essere smentiti con i fatti, con gli accordi messi nero su bianco. Noi non chiediamo nient’altro che l’azienda, come concordato, avvii lo stabilimento e che la lega delle cooperative ci assista, nel primissimo periodo a trovare sbocchi commerciali, fino al momento in cui la cooperativa non sia in grado di delinearsi e di provare ad essere azienda. Noi porteremo questi interrogativi di fronte a qualsiasi istituzione e denunceremo qualsiasi aspetto che non sia più che trasparente e che non sia deciso dai lavoratori, finalmente riuniti ai propri funzionari.


Cordiali saluti


Paolo Vaggelli- responsabile stabilimento
Marco Mugnaini- responsabile area tecnica
Marco Buccioni- responsabile area smalti
Rossana Bandinelli- responsabile ufficio commerciale
Alessandro Meli- ufficio commerciale
Maria Razzanelli- ufficio amministrativo
Chiara Piantini – ufficio amministrativo
Barbara Pratesi – responsabile scelta
Gennai Cinzia- responsabile campioni
Borghini Roberto- operaio specializzato
Alessio Magni- operaio specializzato"

( QUI documento originale )

E’ ormai da molti anni che gli operai della fabbrica di ceramiche di pregio Brunelleschi vivono nell’incertezza per il loro futuro.
La resistenza nell’affermare il diritto al lavoro, la qualificazione della loro mano d’opera e il grande valore di archeologia industriale della loro fabbrica, che ha iniziato l’attività nel 1774, li ha salvati fino ad ora dalla disoccupazione e ha impedito che i poco nobili appettiti di finanziarie, banche e “piccole” Amministrazioni locali, fossero placati.
Purtroppo siamo alla stretta finale:
O i lavoratori si lanciano senza rete nel buio della crisi e diventano operai-imprenditori, oppure si và a casa!
Non c’è più tempo, i personaggi sulla scacchiera di questo cinico gioco sono già posizionati, l’immobile storico deve essere venduto, deve trasformarsi in volume residenziale, deve far muovere capitali.
Il balletto delle false promesse si è fermato.

Paolo R.

"Un sacco pieno di favole"

E’ una storia infinita che sta giungendo al termine
Il Nulla con la sua marea nera che distrugge tutto ha raggiunto la Fabbrica Brunelleschi.



Per più di due secoli la maestosa costruzione ha resistito agli eventi, alle disastrose alluvioni del fiume che ne bagna i lembi, alle bombe degli invasori; adesso è lì, deturpata dai pruni e dalle erbacce, sventrata al suo interno, come una bestia che va al macello.
I suoi archi, le sue finestre di grande vanto aspettano il colpo finale da un nemico potentissimo e insidioso. Dopo secoli di regalità architettonica, le antiche pietre sono prive di difese.
Non ci sono anticorpi al vile denaro, alla speculazione e all’ignoranza dei servi.
Dell’ultimo esempio di storia operaia rimasto in questo territorio, il grande tesoro della Brunelleschi non suscita amor proprio, non produce legittimo orgoglio nei cittadini obnubilati dalle false promesse, dall’ipnosi del voto ai notabili di paese.
Non importa se da anni un avamposto cerca di resistere, amando ciò che la fabbrica rappresenta per il suo prodotto di pregio che ha sostentato per tante epoche le famiglie dei lavoratori.
La marea nera del Nulla colpisce di notte nei rioni dormitorio e negli incubi di chi non ama la sua terra e ha smarrito il proprio senso di appartenenza.
Come un diabolico fauno che precede il Nulla, Peter Pan è tornato promettendo meravigliosi paesaggi da favola e lussuose abitazioni.
Che cosa ne farà degli operai che da anni riempie di promesse?
Magari li porterà con sé e li farà volare nel sogno imprenditoriale fino a raggiungere la sua isola.

L’Isola Che Non C’ È.

Paolo