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giovedì 29 settembre 2011

Una giornata particolare

Il rombo del motore del Minibus, che suo padre aveva messo in moto in garage, interruppe il silenzioso mattino e, subito dopo, una cinica strombazzata di clacson che preannunciava la partenza di quell'importante automezzo, da lui così tanto amato. Tutti i giorni, alla solita ora, la storia si ripeteva.


Quel catorcio che, in una mezzora di viaggio, portava un gruppo di operai dalla piazza del quartiere alla Cartiera, rappresentava per il suo “vecchio” un sorta di effige di potere che lo rendeva fiero del suo lavoro.

Anche i vicini di casa, dopo anni di lamentele, avevano abdicato a questa sua stranezza e adesso quel suono rappresentava, per me e per loro, l'inizio della giornata.

Erano appena le otto di mattina e Rino faceva fatica ad alzarsi , quel suono acuto ed improvviso però, aveva un potere che nessuna sveglia, seppur elaborata con i sistemi più fastidiosi, poteva sostituire.

Si mise a fatica seduto sul bordo del letto mentre il ciabattare della madre all'interno della casa, gli confermava che quella sarebbe stata una solita giornata, uguale alle altre.

Fuori il sole cominciava a farsi strada fra gli alti palazzi del quartiere e una lama di luce si era infilata dalla finestra, quasi completamente chiusa, disegnando una striscia luminosa nel pavimento. I segnali di vita quotidiana che accompagnavano il suo risveglio, generalmente lo rendevano tranquillo, ma nonostante tutto fosse come sempre, quella mattina non riusciva a liberarsi da un sottile senso di inquietudine.

La sera prima, aveva faticato per addormentarsi e, per riuscire a rilassarsi, la sua mente aveva spaziato in mille idee. Aveva provato a pensare al giorno dopo, ma cosciente del fatto che non riusciva a dare un senso alle radici quadrate, ai seni, ai coseni, lo assalì il timore di essere interrogato e invece di prendere sonno, diventò ancora più agitato.

Allora aveva cercato di visualizzare il classico gregge di pecore, per poterle contare, ma immagini più allettanti come le labbra e i fianchi stretti di Roberta, sua compagna di classe, che da qualche giorno aveva accettato di flirtare con lui, finalmente gli dettero la tranquillità necessaria affinchè il sonno trionfasse.
Fu così che, dalle dolci aspettative evocate dall'immaginare quella splendida ragazza di Roberta, si ritrovò davanti alla sua finestra intento ad osservare al di là dei vetri.

Nonostante fosse a casa sua, l'ambiente era diverso: La solita sequenza geometrica dei palazzi, con le centinaia di finestre che generalmente gli apparivano quando cercava di guardare il cielo, era scomparsa. Una intensa luce rossa illuminava tutto l'esterno colpendo i vetri, senza filtrare nella stanza che era anzi illuminata da un soffuso bianco artificiale.

Egli guardava fuori, stupito dallo spazio immenso, uniforme che appariva ai suoi occhi. In basso, sagome umane che provenivano da tutte le direzioni, si muovevano lentamente.

Indossavano una specie di saio scuro e non riusciva a distinguere se fossero uomini o donne. Sentiva però che ognuno di loro era un contenitore di conoscenza, di segreti nascosti e portatore di una propria storia

Quella luce rossa sembrava scaturire da vari punti dell'orizzonte e illuminandoli, proiettava strisce nere multiple lunghissime, che si sovrapponevano una sull'altra, intersecandosi e creando così l'impressione che tutti fossero legati uno all'altro. Facevano pensare che un rapporto di condivisione , quel senso di solidarietà innata, biologica, fosse presente. Ma quel legame che distingueva l'essere umano, non era altro che un ombra.

Ognuno di loro, giunto al limitare di questa elisse si chinava e raccoglieva una delle pesanti pietre, a forma di parallelepipedo oppure cilindriche, che delimitavano l’area.

Poi, lentamente, entrava in questo grande spazio dove, al centro, si ergeva una piccola ma ripida collina, che terminava in un arido pianoro.

Come intenti in uno strano rituale, piegati dalla fatica, affrontavano il sentiero, ma appena giungevano al culmine della salita, il masso sfuggiva loro di mano e sollevando nugoli di polvere, rotolava di lato fino alla base della collina. Mentre il primo, con stoica pazienza, scendeva per riprendere il proprio masso, il secondo affrontava il sentiero e subiva la stessa sorte.

All’inizio pensò che il tutto avesse un che di comicità, ma dopo l’incessante ripetersi della scena, quasi che anche lui facesse parte di quella anomala processione, fu colto da un pesante senso di frustrazione. Probabilmente questa massa di sagome nere, aveva il compito di depositare le pietre nel pianoro, forse per costruire qualcosa, magari una casa o un monumento, ma una sorte avversa e misteriosa glielo impediva.

Era come se fossero condannati da un ineluttabile destino che li costringeva a spendere tutte le loro energie, per realizzare un’opera, che non riusciva mai a giungere al termine.

Mentre osservava questa scena, era stranamente cosciente che si trattava di un sogno, da cui però non riusciva a svegliarsi.

Quella mattina le stranezze del padre, con il fatidico colpo di clacson, furono provvidenziali.
Camminava svelto, zigzagando fra le auto ferme, nelle code ai semafori e cercando di non urtare qualcuno nella marea di persone che a quell’ora invadevano, come formiche, il centro della città. Era il percorso quotidiano che lo portava a scuola, l’unico Istituto Tecnico della sua città. Nonostante avesse ben poche motivazioni per quel tipo di indirizzo scolastico, aveva dovuto accettare per le continue insistenze dei genitori che decantavano la qualità dei professori, l’importanza delle materie trattate, bla, bla, bla,…..

D’altronde per lui, una scelta valeva l’altra, visto che non aveva la benché minima idea di ciò che avrebbe intrapreso nel futuro.

I suoi interessi erano, in quel periodo, di altro tipo.

Gli piaceva la musica e qualche volta si arrangiava suonando una vecchia batteria che aveva in cantina, contribuendo così, insieme alle stranezze del padre, ad alimentare le nevrosi dei vicini. Inoltre la sua mente era impegnata nell’individuare rappresentanti del gentil sesso, che volessero scambiare non troppo dotti discorsi, o effusioni anche approfondite, con lui.

Quella mattina però, le fantasie di sempre non lo accompagnavano nella camminata. Si sentiva diverso, più attento. Notava, nelle cose che lo circondavano, dettagli su cui non si era mai soffermato: I giochi di luce nelle vetrine dei negozi, arredate nei più svariati modi per attirare l’interesse di possibili clienti, le cartacce accumulate agli angoli dei marciapiedi, gli intonaci screpolati nei palazzi del centro.

Il passo svelto della gente era ormai guidato dall’automatismo dell’abitudine e andare a scuola, al lavoro, o semplicemente recarsi da un luogo ad un altro, era diventata solo una gimkana giornaliera al fine di non sfiorarsi.

Sembrava che tutti avessero una gran fretta, i loro volti non esprimevano nessuna emozione o espressione particolare, i loro occhi erano fissi altrove. La consapevolezza di ciò che osservava lo aveva turbato. Si rese conto che non c’era empatia, nessun sentimento traspariva, si percepiva solamente un aura di nervosismo diffuso.

Ognuno camminava come se fosse rinchiuso dentro un bozzolo trasparente e, quando la distanza fra i corpi diminuiva, sembrava che questo guscio si restringesse nel tentativo di aumentare il livello di protezione dall’altro.
Raggiunse finalmente la Scuola e bastò la prima delle tante cazzate che Bernardo, suo compagno di banco, gli avrebbe propinato per tutta la giornata, a far scomparire il suo turbamento:

-Sai Rino? Sono convinto che nel 2012 ci sarà la fine del mondo!. Devo fare presto a trovarmi una donna, se no dovrò scomparire da vergine.-
Rino frenò a stento una risata, correndo il rischio di incorrere nelle ire dell'insegnante di matematica e fisica.

Era una stangona bionda, dalle forme così ben proporzionate che sembrava la statua vivente di una antica dea.

Certe volte se la immaginava in pose accattivanti, stampata sulla copertina di una rivista di top model e poi, magicamente, come nella favola della lampada di Aladino, dalla fotografia usciva un filo di fumo che si trasformava in quella bellezza. Purtroppo sapeva che erano soltanto illusioni dettate da desideri che non si sarebbero mai realizzati.

La dura realtà lo riportò sulla terra quando la Dea, invece di suonare un arpa in mezzo a fiori e fontane, cominciò, con la sua voce incolore a parlare di fissione nucleare.

Spiegò che la prima fissione nucleare fu realizzata da un gruppo di fisici italiani, chiamati “ I ragazzi di Via Palisperna”. Essi facevano esperimenti bombardando un materiale chiamato Uranio con dei neutroni. Si accorsero così che l'uranio si divideva, producendo un numero variabile di nuclei di atomi che emettevano una grande quantità di energia e di radioattività.

Ricordò anche che tutta la materia è composta da atomi, particelle infinitesimamente piccole che possedevano una potenzialità di energia mostruosamente grande.

Atomi, protoni, neutroni, nuclei, la cosa lo affascinava ma contemporaneamente gli provocava inquietudine.

Non riusciva a capire come una sostanza, anche consistente come il metallo o la pietra, potesse essere invece un insieme di particelle che roteavano fra loro, apparentemente in modo caotico, ma in realtà seguendo una logica così complessa e razionale che nessun cervello di grande scienziato era ancora riuscito a scoprirne il segreto.

Pensare che il banco, dove poggiava i gomiti, ricoperto da parolacce, cuori infranti, imprecazioni contro i professori incise e stratificate nel tempo fino a diventare quasi degli incomprensibili geroglifici, avesse una vita propria animata da miliardi di queste particelle, lo sconcertava.

In quel momento lui, il banco, il pavimento erano diventati un mirabolante turbinio di atomi. Niente aveva più forma, pensava quando i suoi occhi cominciarono a chiudersi da soli.

- Ei amico, ti senti bene?-

Era la voce di Bernardo, mentre lo stava scuotendo.

- Se ti becca la Divina a dormire sul banco sei fregato!-

- No, no…grazie, va tutto bene-

Rispose Rino, mentre rialzava la testa appoggiata sul braccio.

Era stato colto da una specie di torpore che non sapeva se imputare alla voce monotona della professoressa, oppure a qualche altra strana ragione.

Cercò di scuotersi, di prestare più attenzione a ciò che l’insegnante spiegava, ma dopo qualche minuto gli tornò in mente il sogno, o meglio i colori del sogno.

Aveva letto, tempo prima il significato di colori, e ricordò che la cosa lo aveva affascinato.

In quello spazio immenso, desertico, c’era il rosso come colore dominante e il rosso secondo la spiegazione, rappresenta il sole e tutti i Dei della guerra.

Quelle figure dall’aspetto umano, condannate a ripetere i soliti gesti, erano nere e ben si addicevano alla rappresentazione di questo colore, che evoca qualcosa di misterioso, associato alla paura ed a ciò che non si conosce, il non manifesto, il vuoto, le tenebre, la vergogna e la disperazione, la distruzione.

L’unica cosa che lo tranquillizzava, in questa oscura spiegazione era il colore della sua stanza, il bianco.

Riconobbe che il suo inconscio, con molta premura, aveva fatto in modo di rappresentarlo dentro la sua stanza, dove la colorazione esterna non riusciva a filtrare e l’interno era di colore bianco.

Il bianco è il colore adatto per un nuovo inizio, una soglia di passaggio verso qualcosa di nuovo.

In realtà qualcosa di nuovo stava accadendo, la sua capacità percettiva gli sembrava aumentata. Riusciva a dare un senso a tutti i segnali di quella strana giornata: il caos delle persone della mattina, la lezione sugli atomi ed in prima linea quelle figure che continuavano a portare con fatica un peso che poi avrebbero perso. Incuranti del fallimento di un obiettivo che si erano preposti e per questo si spendevano. Ma quale poteva essere questo obiettivo? Provò, dentro di se, a riformulare il quesito. Quale obiettivo potevano avere gli esseri umani, cos’è che li spinge a stare in gruppo? E la risposta arrivò automaticamente. Il bisogno di amare e di essere amati, la necessità di unirsi per procreare, per costruire insieme il futuro. Ma se la risposta gli apparve in tutta la sua semplicità non fu così semplice verificare se il significato del sogno rispettava questo bisogno innato degli esseri umani. Rino non ne era convinto, anzi il sogno andava in una direzione completamente opposta.

La gente nelle strade si scansava, rimaneva chiusa nel proprio individualismo, era sospettosa dell’altro e non amava condividere le proprie ansie, le proprie paure. I Ragazzi di Palisperna non avevano studiato l’atomo in maniera incruenta, rispettandone la sua natura e cercando di capire le meravigliose potenzialità della materia e della sua energia, lo avevano bombardato. Avevano rotto i suoi legami naturali nel nome di una scienza che si considerava onnipotente, priva di qualsiasi ordine morale. Erano riusciti a scatenare delle spaventose energie impossibili da controllare.
Una voce imperiosa lo scosse, provocandogli una scarica adrenalinica.

-Rino !- Forse hai scambiato la classe con un dormitorio, accomodati fuori e torna quando sei più sveglio !-

In quel momento avrebbe voluto essere un microbo, invisibile all'occhio umano.

La maggior parte dei suoi compagni rideva e, con una fugace occhiata vide che Roberta lo guardava preoccupato.

Uscì con la testa bassa e si mise a sedere in una panca sul corridoio cercando di capire cosa gli fosse successo, da dove poteva provenire quella sonnolenza. Non aveva bevuto e nemmeno accettato qualche tirata di canna, che qualche volta i ragazzi della scuola gli offrivano. Eppure era tutta la mattina che si sentiva in preda a questo intorpidimento, che faceva navigare il suo cervello in queste elucubrazioni.

La porta della classe si aprì, e Rino ebbe un sussulto pensando che la perfida Dea avesse da ridire qualche altra cosa. Era invece Roberta che si avvicinò e sedette sulla panca accanto a lui, prendendogli di nascosto la mano nella sua.

-Rino, che ti succede?- Posso aiutarti?-

Mentre parlava si era avvicinata e le gambe erano appiccicate alle sue.

In quel caos di ragazzi, professori impettiti che passavano, libri e registri in mano, con un'aria da alieni appartenenti a chissà quale pianeta, ella gli dette un fugace bacio sotto l'orecchio.

Come se avesse ricevuto un magico antidoto, una vampata di calore avvolse Rino che riacquistò velocemente la sua tranquillità.

- Sto bene fisicamente, ma è da questa notte che il mio stato d'animo, i miei ragionamenti sembra abbiano subito una modificazione. Non so come spiegarti, poiché nemmeno io ho capito bene cosa mi stia succedendo!-

Cominciò a raccontargli il sogno, ma già lo aveva elaborato, e venne fuori così una storia in cui Rino era dentro uno spazio protetto dal bianco della sua stanza. In attesa di qualche cambiamento, di qualcosa di nuovo che avrebbe dovuto succedere, mentre fuori c’era un ambiente ostile. Una guerra, oppure un evento catastrofico che aveva reso la terra un deserto polveroso. L’unica cosa a cui però non aveva dato una spiegazione era quel frustrante rituale che le figure oscure ripetevano. Proseguì nel racconto:
-Stamattina, mentre venivo a scuola, percorrendo la solita strada, tutto mi sembrava diverso. L’ambiente che mi circondava, le persone. Sembrava tutto privo di calore, di affettività. Come dentro un video game.-

Roberta lo ascoltava attenta e il suo volto, pareva esprimere una certa perplessità. La comprendeva, poiché sapeva di raccontare delle stranezze. Ma, Rino si stupì, quando ella gli rispose :

 Sai, non penso che tu sia andato un po’ fuori di testa, anzi! Credo proprio che dentro di te uno spazio nuovo si è presentato. Questa condizione in cui ti senti e che cerchi di spiegarmi, l’ho provata anche io. C’è stato un momento in cui ero una ragazzina che non aveva problemi, che pensava solamente a cose belle, distanti dalla realtà, poi, senza alcun preavviso, ho avuto un cambiamento fisico, ed è stato come se qualcuno o qualcosa mi avesse inchiodato i piedi sulla terra.-

Il suo volto, che prima gli sembrava perplesso, aveva adesso una patina di tristezza.

 Sono stata costretta a guardare la realtà e a starci dentro. Ho dovuto misurarmi con quello che automaticamente rimuovevo. Sono stata immersa il quel rosso di guerra di cui tu mi parli. L'ho vissuto nella violenza delle parole e degli sguardi lussuriosi nei miei confronti senza che nessuna fantasticheria potesse salvarmi .Il sogno te l'ha rivelato, ti ha immerso nel bianco del cambiamento. Forse è arrivato anche per te, il momento di guardarti intorno, di sentirti a contatto con la terra.
Le sue parole avevano scatenato dentro di lui una serie di emozioni a cui non riusciva dare spiegazione.

D'istinto le posò le braccia intorno alle spalle e la strinse più forte a se.

Sentiva aprirsi delle barriere nel profondo, da cui fuoriuscivano cose che gli parevano scontate, ma su cui non aveva mai riflettuto, intento a vivere cercando di evitare ogni angoscia.

Sentiva il suo respiro affrettato e avevo un grande desiderio di essere lontano da tutto e da tutti. Solo con lei. Ma quasi a conferma dell'appello che ella gli aveva fatto di poggiare i piedi per terra, il suono della campanella, che in altri momenti era liberatorio, gli rimbombò nelle orecchie, interrompendo quel magico momento.

La città dove viveva era situata in riva al mare ma, salvo una passeggiata con filari di abeti lungo il confine con una spiaggia senza stabilimenti balneari- e una scogliera al delimitare delle case, non vi era nulla di particolarmente esotico. Era lo stesso affezionato al luogo dove era nato e spesso gli piaceva camminare sugli scogli, spingendosi fino alla punta di essi, rimanendo lungo tempo ad osservare l’animata vita marina fra l’acqua e le rocce.

Roberta lo aveva salutato frettolosamente ma si erano dati un appuntamento nel pomeriggio, nel molo principale di un piccolo Porto commerciale, a poca distanza dalle rispettive abitazioni.

Rino era tornato a casa ed era così impaziente che non aveva nemmeno mangiato, sollevando la cantilena della madre, in questi casi sempre preoccupata. Era più stressante il “terzo grado” a cui lo sottoponeva che sforzarsi di aprire lo stomaco, leggermente contratto dall’emozione, ad un improponibile sandwich. Così fece e, mentre masticava svogliatamente, pensò a Roberta.

Quella ragazza gli piaceva più di quanto avrebbe ammesso qualche giorno prima. Confidandogli la propria esperienza si era aperta con lui.

Associando poi il proprio mutamento, per una donna naturale e irrimandabile, ai contenuti del sogno, era entrata come una presenza attiva nello stesso processo di cambiamento che aveva coinvolto Rino.

Era arrivato prima dell’ora fissata, voleva guardare il mare, anche se la giornata appariva grigia e minacciava la pioggia.

Il mare era un pò mosso e il vento creava delle piccole onde, le cui creste spumeggianti, si avvicinavano velocemente agli scogli dove si era seduto, e si infrangevano con una sequenza regolare di tonfi e di sciaquii.

Il suono prodotto dalle onde, che si infilavano nel dedalo di insenature vicino ai suoi piedi e il fischio continuo del vento, producevano in Rino uno stato quasi ipnotico. Pensò a Roberta e a quella inspiegabile alchimia che si era prodotta in loro. Fino a quel momento, l’esperienza con altre ragazze non gli aveva prodotto la stessa emozione che provava con lei. Qualcosa li univa profondamente, come se dovessero percorrere un sentiero comune, ma di cui nessuno dei due sapeva dove portasse.

Guardava la distesa grigio scura del mare, che sembrava facesse tutt’uno con l’orizzonte nuvoloso, e ripensò a quella particolare giornata.

La schiera di persone, quella mattina, che riproduceva continuamente gli stessi gesti, gli stessi percorsi di sempre, le stesse parole ripetute migliaia di volte. La tristezza profonda nei loro volti di anziani, di impiegati, di casalinghe e la difficoltà nello stare insieme, la violenza generata dal sospetto. E poi la lezione sull’energia nucleare, evocò in lui la sensazione che l’intelligenza veniva usata per trovare mezzi sempre più micidiali, per autodistruggersi. Le frasi di uno speaker, ascoltato alla radio quel pomeriggio, gli risuonavano nelle orecchie:

“La catastrofe della Centrale nucleare di Fukushima, causata dal terremoto in Giappone e dallo tsunami, con onde alte 23 mt che hanno ucciso oltre 15 mila persone, potrebbe diventare un incubo atomico ben peggiore di Chernobyl. Forse, il peggior disastro nucleare di tutti i tempi, con effetti per migliaia di anni.”

Ma noi, pensava, noi che fino ad ora non abbiamo commesso nessun crimine, non abbiamo fatto nessuna guerra e non abbiamo condannato enormi superfici del nostro pianeta a migliaia di anni di morte per radioattività.

Non potete costringerci........Le nere figure, sempre con maggiore lentezza, continuavano a salire, con il busto piegato dal peso delle pietre, e poi scendevano, alcune rovinosamente dietro al proprio masso. Ai piedi della collina corpi sdraiati, in pose improbabili, stremati, o ,forse uccisi dalla fatica, coloravano di nero il grigio della polvere......
- Rino!-

La sua voce, come un magico lenimento.

L’aiutò a scendere in una piccola insenatura fra le rocce e si sdraiarono in un tappeto di sabbia e asciutte alghe.

Fu come un silenzioso boato, il sole squarciò deciso la coltre di nubi e tutto cambiò. Colori, profumo, sapori.

Era quello il loro, esclusivo mondo.